La storia

Il Molino delle Monache di San Benedetto si trova in Via Giove Pennino, lungo il corso del torrente Camignano, nel 2005 è stato inserito dal Comune di Gubbio nell’elenco degli Edifici di valore storico-architettonico ed ambientale considerati beni culturali. L’edificio apparteneva amministrativamente alla Villa di Santa Margherita del Condotto. Più specificatamente esso è ubicato lungo il confine ovest di tale villa, confine delineato del corso del torrente Camignano lungo il quale è indicata la presenza di tre molini: molino di Santo Spirito, molino delle Monache di San Benedetto, molino del Marchese Benvenuti.
Dalla loro dislocazione identifichiamo il nostro edificio con il MOLINO DELLE MONACHE DI SAN BENEDETTO. Da questi primi elementi possiamo ricavare quattro indicazioni:

Il molino era esistente tra il 1759 e il 1768;
Presso la Foce del Camignano due molini appartenevano ad un’istituzione religiosa: il molino di Santo Spirito di proprietà del Convento di Santo Spirito e il nostro Molino di proprietà del Monastero di San Benedetto;
Il 1759 – 1768 può essere preso come termine “post quem” per la sua denominazione: Il Molino delle Monache di San Benedetto;
L’edificio faceva parte di un “sistema di molini” che partendo dalla foce del Camignano (presso il Monte Calvo) furono costruiti lungo tutto il suo corso, attraversando la città, fino alla pianura eugubina.
In questo tentativo di una ricostruzione cronologica “a ritroso” possiamo avvalerci dell’opera di J. Blaeu e P. Mortier. Essi, nel 1663, disegnarono una pianta prospettica della città di Gubbio dalla quale è possibile individuare non solo la zona che a noi interessa, da loro denominata con il toponimo “Molini”, ma soprattutto l’identificazione e quindi l’esistenza, nel 1600, del nostro Molino.
Nel 1700, come detto, il molino era di proprietà del Monastero di San Benedetto. Da documenti d’archivio, sappiamo che tale Monastero, ubicato in una zona prossima al nostro edificio, nel 1338 era abitato dai Padri Olivetani per concessione del Vescovo P.Gabrielli. I monaci vi rimarranno fino al 1520 quando furono trasferiti e al loro posto subentrarono le suore della Chiesa e del Monastero di Santa Maria del Palladio in qunto il complesso fu demolito.
Cronologicamente, facendo un passo ancora indietro, ci sembra interessante citare un documento del 1327 nel quale il Consiglio Comunale della città delibera che “l’acqua della vena che è alla base di quella roccia che si trova presso il molino distrutto che è, anzi fu, sopra il ponte che conduce al Castello della Pergola, e attraverso il quale è consuetudine raggiungere il Monte Foce, venga convogliata con un acquedotto, all’acquedotto che porta l’acqua alla Fonte dell’Arengo”. Quindi contemporaneamente alla costruzione dell’acquedotto che dalle falde del monte Foce, seguendo il percorso della strada lungo le falde dell’Ingino, penetrava in città, si provvide a regolamentare nello stesso punto in cui esso aveva inizio, il flusso del Torrente Camignano con uno sbarramento, creando un bacino artificiale: il Bottaccione.
Da questo documento possiamo dedurre due informazioni:

La citazione di un molino distrutto ci fa pensare che l’esistenza dei molini presso la foce del Camignano fosse precedente al 1327;
La realizzazione dell’acquedotto e dell’invaso (Bottaccio) permetteva la fuoriuscita regolata dell’acqua raccolta, consentendo così ai moltissimi molini del territorio, anche in tempo di siccità, di lavorare senza interruzioni.
La presenza di numerosi molini sin da tempi molto antichi ci è testimoniata da alcuni documenti del 1100 raccolti da Mons. Pio Cenci nella sua opera “Codice diplomatico di Gubbio dal ‘900 al 1200 ”.
Sin dal 1100 vi era un’intensa attività economica che ruotava intorno ai molini che scandivano il percorso del Camignano, asse portante per le necessità di tipo economico-produttivo della città. Inoltre dalla metà del 1100 molti molini privati diventavano, per cessione, vendita e donazione, di proprietà ecclesiastica e il fatto che il nostro molino probabilmente già nel 1520 era intestato alle Monache di San Benedetto ci fa pensare ad una continuità nel suo possesso da parte della Chiesa, ad un suo sicuro mutamento nella denominazione e quindi ad una sua probabile origine molto più antica riconducibile al Medioevo come la stessa analisi architettonica ci suggerisce. È ancora perfettamente visibile la sagoma della costruzione a “L” raffigurata nella veduta del Mortier, che rappresenta la costruzione principale, ove era collocato il mulino. Dal punto di vista idraulico il funzionamento era il seguente: l’acqua del torrente veniva prelevata a monte e tramite una condotta in legno veniva portata in un invaso a monte della costruzione, da qui entrava in un ambiente di forma circolare che conteneva la pale del mulino. Il movimento rotatorio delle pale veniva trasmesso tramite un asse di collegamento alle macine al piano superiore. Nella zona inferiore della costruzione, le volte si appoggiano direttamente sulla roccia, e sono ancora visibili i canali di deflusso dell’acqua di scarico. Ai piani superiori tutti gli orizzontamenti, come il tetto sono lignei. La costruzione adiacente, doveva presumibilmente ospitare dei magazzinieri, elemento questo comprovato dalla presenza di una serie di archi che rendevano il piano terreno quasi un porticato. Attualmente la parte posteriore all’ultimo livello verso il fiume è stata ricostruita in laterizio.

Il molino è situato nel cuore del sito geografico della gola del Bottaccione definito “Archivio della terra” per la presenza nelle rocce di una stratigrafia che consente lo studio di un periodo geologico compreso fra i 140 e i 30 milioni di anni fa.

Proprio da questo sito, ricco di iridio, la scienza ha elaborato una delle teorie più avvalorate relative all’estinzione dei dinosauri avvenuta 65 miliondi di anni fa.